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Trivelle: Greenpeace e cooperative pesca, rischio inutile

Lanciano manifesto contro offshore, no strategia fossile governo

22 ottobre, 16:16

Difendere il mare, la pesca, l'economia locale e il turismo dalla minaccia delle trivelle offshore, e soprattutto la pratica dell'airgun (cioè l'esplosione in acqua di bolle ad aria compressa per fare ricerca esplorativa). Questo lo spirito del manifesto lanciato da Greenpeace e il Coordinamento pesca dell'Alleanza delle Cooperative italiane che parlano della strategia 'fossile' del ''governo Renzi come di ''un rischio inutile''.

In pericolo - spiegano - c'è ''l'integrità degli ecosistemi marini e l'intero comparto della pesca''; in particolare il Mediterraneo, con l'Adriatico e il canale di Sicilia. Con una serie di documenti, Alessandro Gianni' di Greenpeace, evidenza tutte le ''negatività'' di portare avanti questo tipo di attività, mettendo in evidenza i danni per la fauna ittica (specie per i cetacei) e quanto siano manchevoli le valutazioni di impatto ambientale in Italia.

''I pescatori sono sempre più sentinelle del mare - osserva il presidente di Federcoopesca, Paolo Tiozzo - c'è l'interesse di difendere l'importante patrimonio marino dalle trivelle.

Questa strategia fossile è dannosa sia economicamente sia ambientalmente: per esempio l'airgun può provocare danni fisici e decrementi del pescato compresi tra il 20 e il 70%''.

Greenpeace e il Coordinamento pesca dell'Alleanza delle cooperative italiane pensano che ''il piano di petrolizzazione dei mari italiani, promosso inizialmente dal governo Monti, poi sostenuto da quello Renzi, sia un 'nonsense' dal punto di vista economico, energetico e ambientale nonché negativo rispetto all'impegno di contrastare i cambiamenti climatici''.

Inoltre, viene fatto presente come ''riempire i nostri mari di piattaforme non ridurrebbe la dipendenza energetica dell'Italia dall'estero'': e infatti ''ad oggi nel nostro Paese'' si estragga ''un quantitivo di gas in mare equivalente a circa il 7% dei consumi nazionali; per quanto riguarda il petrolio le estrazioni in mare coprono l'1,3% dei consumi nazionali. Le riserve certe sotto i nostri fondali equivalgono a meno di due mesi dei consumi nazionali; quelle di gas a circa sei mesi''. A questo bisogna aggiungere che ''le attività di estrazione di idrocarburi offshore generano gettiti fiscali modesti, le compagnie hanno royalties tra le più basse al mondo''. E anche a livello di occupazione, viene spiegato, ''le ricadute non sarebbero significative''.

A essere chiamate in causa sono poi le valutazioni di impatto ambientale dei progetti delle piattaforme che - secondo Greenpeace - ''in Italia sono del tutto inadeguate''.

Infine viene chiesto ''a tutti gli amministratori locali'' che hanno i territori interessati da questo tipo di attività di ''utilizzare ogni strumento amministrativo e giuridico per scongiurare la 'deriva fossile' dei nostri mari''.

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