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Dovrei essere fumo

Dovrei essere fumo

di Patrick Fogli

di Gioia Giudici

Raccontare le camere e gas "da dentro, perche' non sono state il parto mostruoso della mente di un folle ma il prodotto della storia": e' cio' che fa Patrick Fogli nel suo nuovo romanzo 'Dovrei essere fumo' (Piemme), dove abbina il noir al memoir "per portare il nazismo - spiega - qui e ora".

Il libro alterna la storia di Emile, ebreo francese deportato ad Auschwitz con tutta la famiglia, con quella di Alberto, soldato in congedo che, traumatizzato da una missione, accetta di curare la sicurezza di un uomo anziano pieno di segreti. I ricordi di Emile, che nel campo viene selezionato per far parte della squadra che accompagna gli ebrei alle camere e gas, sono custoditi in un quaderno azzurro, che Alberto legge ogni sera.

Ma questo non e' l'unico legame tra ieri e oggi: le storie sono destinate ad unirsi nel segno della memoria, che e' il motivo per cui Emile, nonostante le atrocita' viste e subite nel lager, non si e' lasciato andare.

E la memoria e' il motivo per cui Fogli ha deciso di confrontarsi con quegli anni: "Il filo conduttore dei miei libri - racconta - e' la paura che cio' che ci ha formato come persone se ne stia andando troppo in fretta, nella nostra societa' si danno per acquisite troppe cose mentre i rigurgiti di nazismo non sono neanche troppo velati". "Sono preoccupato di cosa succedera' dopodomani, quando gli ultimi testimoni dei campi non ci saranno piu'" aggiunge Fogli, che per questo ha fatto di Emile il simbolo di tutte le vittime dell'Olocausto.

Il giovane ebreo francese, infatti, non e' realmente esistito, ma tutti gli episodi che vive nel campo sono realmente accaduti e documentati, dai prigionieri che cantano il loro inno nazionale entrando nelle camere a gas, al disperato che per salvarsi si butta nella fossa comune piena di cadaveri fingendosi morto. Una storia raccontata tutta dal punto di vista umano, dove i personaggi luminosi sono pieni di ombre e quelli oscuri conoscono bagliori di luce. Perche' "chi vuole vivere e' condannato a sperare" e chi e' sopravvissuto ai campi vive sopraffatto dal senso di colpa per avercela fatta, per aver dovuto commettere atrocita' che non permettono l'autoassoluzione.

"Si salvano solo i peggiori" scrive Emile dopo aver schivato per l'ennesima volta la morte, ma quando entra volontariamente nella camera a gas per farla finita e' una donna a chiedergli di uscire per sopravvivere all'orrore e raccontarlo. "Non e' un caso - ricorda Fogli - che i nazisti in ritirata avessero l'ordine di distruggere i campi, di non lasciare prove".

Prove e testimonianze sono poi rimaste, ma la revisione della memoria - avverte l'autore - e' sempre in agguato, cosi' come la pulizia etnica non fu una prerogativa del solo nazismo. Tutto, segnala Fogli, "comincia cambiando il significato delle parole: il primo atto delle leggi razziali fu la definizione di ebreo e non si parlo' mai di sterminio ma di soluzione finale, proprio come oggi le vittime civili di un conflitto sono danni collaterali". Anche per questo la memoria va tenuta viva "ma come un percorso - conclude l'autore - non come un esercizio fine a se' stesso".

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